Case popolari, periferie, “guerre tra poveri” e (in)giustizia fai da te.

San Basilio, Tor Bella Monaca, Tufello, Trullo. Per chi vive o conosce Roma sono nomi evocativi: borgate storiche, periferie, case popolari. Tutti quartieri che sono tornati alle cronache negli ultimi mesi (l’ultimo episodio ieri) per lo stesso motivo: le “rivolte” di “residenti”, “comitati”, “occupanti”, al momento della consegna da parte del Comune di un alloggio ERP alla famiglia a cui era stato regolarmente assegnato.

Quello “dell’abitare”, forse oggi a Roma è uno dei principali problemi sociali: circa 7.000 persone in occupazione, 6.000 nei “campi rom”, 10.000 famiglie nelle liste in attesa per una casa popolare. Una città con una grande emergenza abitativa, ma in cui circa 40/50 mila appartamenti sfitti non sono su mercato. Per non parlare delle case degli Enti.

Il caso degli alloggi ERP (Edilizia Residenziale Pubblica), le cosiddette case popolari – che comprendono i circa 48mila dell’ATER e i 30mila del Comune – è emblematico: si va dalle case “ereditate” senza parametri economici oggettivi (date a bisnonni o trisavoli effettivamente in condizione di bisogno, divenute negli anni “case di famiglia”) alle abitazioni “vendute” e “comprate” illegalmente, a quelle occupate, assegnate agli “amici degli amici”, fino a quelle in cui non si paga il canone o in cui – peggio ancora – si paga il pizzo.

In tutto ciò, chi arriva all’assegnazione regolare di un alloggio Erp è una specie di eroe contemporaneo: ha vissuto anni di emergenza abitativa, ha quasi sicuramente bambini o disabili (o entrambi) nel proprio nucleo (attualmente quasi solo queste “tipologie” danno un punteggio per poter accedere), non ha voluto o non ha mezzi per trovare scorciatoie di ingresso disoneste. Sono quelli che hanno diritto non solo “alla casa”, ma a una determinata casa, che per legge spetta a loro. Tutelarli non può scatenare una “guerra tra poveri”. Se c’è un’altra famiglia fragile, il Comune se ne faccia carico, ma non si avalli mai la violenza. C’è un diritto alla casa, che va riscoperto, ma che deve rispondere a delle regole, altrimenti è il far west.

Scacciare con violenza i nuovi assegnatari (spesso col sostegno di gruppi organizzati venuti da fuori) è far vincere la prevaricazione, la disonestà e la violenza sul diritto. Sarebbe importante approfondire ad esempio per quale motivo tra il momento dell’assegnazione e quello in cui la famiglia è convocata per entrare nell’alloggio, passi molto tempo (in genere più di 40 giorni).

Ma soprattutto bisognerebbe mettere mano in modo complessivo alla vicenda dell’abitare aumentando la dotazione di case a costo accessibile, sia in affitto che per l’acquisto. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. La città storica si svuota e diviene un grande centro commerciale per turisti mentre la gente è spinta fuori, in quartieri anonimi e spersonalizzanti, spesso senza servizi.

Una proposta: creare una “agenzia pubblica dell’abitare” in cui mettere a regime nuove forme di accesso all’abitare (dai rapporti costruttori/privati, alla riorganizzazione di Iacp/Ater, al social housing, a sperimentazioni tipo co-housing, al recupero di aree e fabbricati, fino ai beni sottratti alla criminalità organizzata). Potrebbe seriamente operare una sinergia socio-abitativa, contribuire a migliorare la qualità di vita sia al centro che nelle periferie della Capitale e minare le basi di nuove, possibili, “guerre fra poveri”.

http://www.huffingtonpost.it/paolo-ciani-/case-popolari-guerre-fra-poveri-e-in-giustizia-fai-da-te-a-roma-ci-vorrebbe-un-agenzia-pubblica-dell-abitare_a_23228348/?utm_hp_ref=it-homepage

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