Risposte sistemiche e basta “emergenza”
La crisi abitativa che vive da troppi anni la Capitale d’Italia è qualcosa di drammatico.
Da tempo la vicenda è divenuta crisi sistemica e non più una “emergenza”. Il termine è peraltro ampiamente abusato nell’amministrazione pubblica, anche per altre vicende (in maniera talvolta grottesca, come quella che riguarda “emergenza freddo” ed “emergenza caldo”, legata a fenomeni metereologici che si ripetono annualmente…), ma non è un termine neutro.
L’emergenza ricerca risposte “emergenziali”, quindi non definitive, non prospettiche, per rispondere all’immediato (nel migliore dei casi), spesso aggirando le norme e comunque senza una pianificazione che aspiri a essere risolutiva.
E così le “emergenze” a Roma durano decenni, precarizzando le situazioni, perpetrando le incertezze, le irregolarità, gli abusi, perdendo il pathos vero del dramma, vissuto ormai come reale emergenza solo da coloro che lo subiscono e da pochissimi che se ne occupano.
Il tema della casa e dell’abitare è uno di quelli che umanamente e politicamente mi stanno più a cuore e su cui credo sia necessario intervenire. L’ho fatto in tanti anni da volontario nelle pieghe più nascoste della nostra città. Lo faccio da tre anni da Consigliere Regionale nel Lazio anche introducendo norme specifiche (come l’istituzione delle “Convivenze Solidali” nelle case ERP) e azioni sul “campo” e credo sia una delle sfide principali che attendono la prossima amministrazione capitolina.
La casa è il luogo primario per la propria indipendenza, in cui formare una famiglia e a cui ognuno dovrebbe aver diritto. La grave sofferenza in cui si trovano troppe persone nella nostra città rispetto all’accessibilità all’abitare è uno dei drammi principali che vive la capitale d’Italia.
Per provare ad affrontare questo punto credo sia necessario un grande sforzo. Bisognerebbe creare una “Agenzia dell’abitare”, che metta allo stesso tavolo i diversi soggetti implicati in questo ambito, dai costruttori, ai sindacati, ai movimenti per la casa, passando per i gestori pubblici delle case Erp e tutte le istituzioni implicate.
Il tema è quello di una città che ha troppi spazi pubblici e privati (e troppe case) vuoti e troppe persone senza una casa.
I numeri sono impressionanti: esiste una città nella città in crisi abitativa. C’è il grande tema della gestione dell’edilizia residenziale pubblica, quella di proprietà dell’Ater, quella che appartiene direttamente al Comune di Roma. Ci sono poi case appartenenti ad Enti o a alle ex Ipab.
C’è un enorme “invenduto” dell’edilizia privata (che ha avuto possibilità di edificare molto nei decenni passati per scelta pubblica). Ci sono tanti luoghi in abbandono. È evidente che in una città con i problemi abitativi di Roma. Gestire il patrimonio immobiliare è una immensa grana, possibile fonte di clientela e di corruzione, nonché di pressioni di vario tipo.
Per questo c’è grande timore a mettervi mano e talvolta anche a parlarne. Ma è a mio avviso innanzitutto un grande tema di giustizia sociale.
È chiaro che vedere ancora oggi la pratica della compravendita di alloggi ERP è uno schiaffo alla giustizia e a chi onestamente cerca di risolvere il proprio disagio abitativo.
Ma è banale ricordare che nella precarizzazione dell’emergenza che non trova soluzioni, ognuno si organizza come può. Nei decenni passati alcune figure politiche hanno fatto la storia anche per aver risolto (o fortemente alleviato) il disagio abitativo dei loro concittadini: dal “piano casa” di Fanfani, alle “case popolari” di Petroselli. Credo dovrebbe essere l’aspirazione anche degli attuali politici.
Senza precarizzare l’emergenza (con soluzioni disumane e antieconomiche come i residence e i campi rom). Senza nuovo consumo di suolo: partiamo dalle case e dagli spazi vuoti della nostra città esistenti. “Riempiamoli” di vita e di persone con la guida e la mediazione intelligente, coraggiosa e che porti equità, delle istituzioni pubbliche.
Sarebbe una piccola rivoluzione, o finalmente una pianificazione fuori dall’emergenza quotidiana.