Il sociale a Roma: i primi “sette passi” di Democrazia Solidale

Fonte DireS. Intervista di Redattore Sociale

Intervista a Paolo Ciani, dopo il buon risultato delle elezioni capitoline. Le priorità: povertà “diffusa” e non solo “estrema”, integrazione socio-sanitaria, attenzione ai giovani e alle disabilità. “Fondamentale valorizzare e strutturare il rapporto con volontariato e terzo settore. E dire con chiarezza che il degrado non è mai la persona”

C’è la povertà estrema, ma c’è anche la povertà diffusa. Ci sono gli anziani, ma ci sono anche i giovani, con la loro fragilità acuita dalla pandemia. Poi c’è una città non per tutti accessibile, c’è un intervento sociale “parcellizzato” e c’è un’integrazione socio-sanitaria tanto annunciata e poco realizzata. Insomma, il sociale a Roma è una questione ampia e differenziata. Fatta di emergenze ma anche di sommerso. C’è la fragilità che si vede e quella che resta nascosta, invisibile, ma che rischia di trasformarsi in dramma.

Un mondo che conosce bene Paolo Ciani, una storia nel volontariato e nella comunità di Sant’Egidio, poi sfociata in un impegno politico, con la fondazione di Demos – Democrazia Solidale, un posto in Consiglio regionale e un buon piazzamento (terzo) nelle primarie per il sindaco di Roma. Un ottimo risultato come partito anche a Roma. Demos ha conquistato un posto in consiglio comunale e un assessorato cruciale come quello alle Politiche sociali e alla Salute.

Ora, quali saranno i primi passi da compiere per realizzare a Roma quel “sociale” che Demos ha in mente?


Al primo posto, metterei la centralità della persona, tema che abbiamo declinato in campagna elettorale. Non uno slogan, ma un intervento concreto. Intervento che parte dalla consapevolezza che a Roma, oltre alle emergenze sociali più visibili e più dibattute (senza dimora, rom ecc), esiste il grande tema dell’isolamento sociale. Che colpisce una popolazione molto più ampia e trasversale. La chiamiamo “povertà diffusa”, è quella che riguarda soprattutto anziani, disabili e famiglie che al loro interno hanno persone con problemi di diverso genere. Questa è una povertà molto più nascosta. Una delle grandi sfide per noi è riuscire a intercettare e rispondere al bisogno di queste persone, prima che la loro vicenda si drammatizzi. Per esempio, prima che la caduta di un anziano solo in casa diventi un accesso in ospedale, o prima che il guasto di un ascensore ci sveli una persona disabile isolata.


Ci sono per questo i servizi sociali. Non è efficace il loro intervento?


Proprio questo è un altro tema: l’intervento. Noi assistiamo al paradosso di un intervento sociale parcellizzato per categorie.
Per esempio, in un palazzo arriva un assistente sociale per i minori e va al primo piano; dopo due giorni entra un altro assistente sociale, per un adulto, e va al terzo piano. E i due assistenti sociali neanche si parlano. Questo tipo di intervento non è funzionale né dal punto di vista economico né dell’efficacia dell’intervento stesso. E’ un problema che dobbiamo affrontare, soprattutto vista la scarsità di risorse…


Terzo passo?


L’altra grande questione, che mi sono trovato ad affrontare anche in Regione, è l’integrazione socio-sanitaria. Per questo mi fa piacere che il nuovo assessorato si chiami “alle Politiche sociali e Salute”. L’attuale assetto di una sanità tutta regionale e di un servizio sociale tutto comunale, che quasi sempre non si parlano. E’ una sfida che dobbiamo affrontare subito. Sappiamo che questa separazione rappresenta un grave limite sia dal punto di vista economico che umano. All’interno di queste tema ricade, per esempio, un’altra questione fondamentale, di cui pure abbiamo parlato qui recentemente: il tema della deistituzionalizzazione. Ho verificato personalmente. Un monitoraggio tra gli ultra 80enni in alcuni quartieri di Roma, che vorremmo mettere a sistema nella città, ha evitato ricorsi impropri a pronto soccorso, interventi di ambulanze e migliorato la vita concreta di tanti anziani. Questo indica la strada. Occorre creare molto più intervento di rete, anche con nuove idee, mettendo a frutto il grande lavoro di terzo settore e volontariato, creando reti di vicinato (portieri, vicini, farmaci pubbliche ecc): abbiamo reti informali che, se messe a sistema, possono supportare molto meglio questo tipo di intervento.


Volontariato e terzo settore sono realtà molto presenti e attive a Roma: pensa siano adeguatamente valorizzate e integrate nelle politiche sociali?


Penso che il legame con terzo settore e volontariato vada molto implementato. Ho constatato con rammarico come negli ultimi vent’anni il rapporto con il Terzo settore si sia per lo più tradotto in una sorta di subappalto degli interventi pubblici, senza una reale collaborazione. Poi c’è stato un periodo, soprattutto con l’inizio di governo Cinque stelle, in cui questo mondo è stato visto addirittura con diffidenza. Al contrario, io credo che volontariato e terzo settore debbano essere riconosciuti e valorizzati come realtà ricca e differenziata. Ogni associazione, ogni organizzazione, ogni pezzo di terzo settore può dare il proprio specifico contributo. Dobbiamo mettere in pratica la co-progettazione e la co-programmazione, assicurando un protagonismo positivo a un ambito d’intervento che spesso sta più avanti rispetto all’istituzione e può aiutarla a implementare politiche più corrette ed efficaci.


Quinto passo?


Naturalmente, non possiamo non parlare di povertà estreme. Penso al piano freddo che sta iniziando, ai tanti posti per l’accoglienza tagliati in questi anni e in questi mesi. Dobbiamo darci subito da fare. E ogni ambito va affrontato con il giusto approccio: la questione dei rom, per esempio, non deve essere un tema ‘etnico’, ma va approcciata con gli strumenti consueti delle politiche sociali: necessità abitative, inclusione lavorativa ecc. Le tossicodipendenze, poi: ci tornano in mente solo quando avvengono le tragedie, ma rappresentano una questione enorme, sulla quale da tempo non si fanno ragionamenti e né si maturano idee d’intervento. E non mi riferisco solo alle tossicodipendenze, ma anche all’azzardo patologico: sono sfide enormi, ma abbiamo tanto risorse e idee da mettere in campo.


A Roma si parla tanto di degrado. Che legame c’è tra degrado urbano e fragilità sociale?


Negli ultimi anni, soprattutto per via di una propaganda di destra, si è molto parlato di degrado legandolo ai poveri. E
questo è molto grave: il degrado non sono mai le persone. Anche dove esistono situazioni di dramma umano (es. persona nuda per strada, o che si lava o fa gli escrementi in un angolo della città), non è mai la persona a fare il degrado. Certo, una città bella, curata e pulita ha ricadute sulla quotidianità. E’ vero che un quartiere sporco e degradato produce un atteggiamento meno rispettoso da parte dei cittadini. Per questo è importante che ce ne prendiamo cura. Ma dobbiamo essere molto attenti alla deriva subculturale: dobbiamo dire con forza che la persona non è mai degrado.


Tra le fragilità sociali, si annoverano in questi mesi anche i bambini e i ragazzi. Cosa ne pensa?


Dal punto di vista sociale vedo che tra i giovani c’è ancora molta sofferenza ed esistono forti diseguaglianze tra un quartiere e l’altro. L’autonomia scolastica non ha aiutato a combattere la dispersione scolastica, che in alcune zone è un problema molto serio. Ma c’è anche un nuovo disagio, trasversale, che è nella socialità. E’ il prodotto di quel distanziamento sociale che abbiamo dovuto adottare come misura di tutela. Le ricadute sui più giovani sono state pesanti: sono aumentati autolesionismo e problemi mentali e ora dovremo mettere certamente in campo forme di sostegno per ragazzi e le ragazze.


E le disabilità? Quale attenzione richiedono, in una città come Roma?


Rispondo con un aneddoto che mi torna spesso in mente: in uno dei primi incontri in Regione con le associazioni, un rappresentante dell’Uici mi faceva notare che un autobus con l’avvisatore acustico delle fermate non costa più di uno senza avvisatore. Eppure, a Roma i mezzi pubblici non hanno questi avvisatori, tanto utili per i passeggeri con disabilità visiva.
Perché? Semplicemente perché nei bandi non viene inserita questa richiesta. E’ una mancanza di attenzione emblematica, che dovrebbe farci riflettere su quante barriere esistano, al di là del gradino e della scalinata. E’ un problema culturale, che vogliamo affrontare per garantire affinché Roma sia una città a misura di tutti/e e per tutti/e.

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