Ho presentato un’interpellanza al ministro della giustizia Nordio per fare luce sulla questione delle telefonate in carcere concesse ai detenuti e capire quali siano gli intendimenti del governo. Esprimo la mia preoccupazione per la stretta che si è registrata nei diversi istituti penitenziari sulle chiamate all’esterno concesse ai detenuti nell’era post COVID: non più una telefonata al giorno, ma soli dieci minuti di chiamata a settimana.
È importante trovare un equilibrio tra la sicurezza nelle carceri e i diritti umani dei detenuti. Ridurre le telefonate non è la soluzione corretta. Dobbiamo invece promuovere politiche che consentano ai detenuti di stabilire connessioni umane significative e di mantenere un legame con la società esterna, il che può svolgere un ruolo cruciale anche nella prevenzione dei suicidi in carcere, drammaticamente numerosi. Ridurre le opportunità di comunicazione rappresenta un grave errore e un’insensibilità verso la salute e il benessere dei detenuti. Al contrario, durante il Covid la maggiore flessibilità nel concedere telefonate ai detenuti ha notevolmente aiutato a garantire un clima sereno tra i detenuti senza problemi legati alla sicurezza, né alcun aggravio di spesa per l’amministrazione penitenziaria.
Dobbiamo considerare il contesto carcerario come un’opportunità per offrire sostegno ai detenuti che possono trovarsi in uno stato di fragilità mentale. Le telefonate rappresentano uno strumento importante per mantenere una connessione con l’esterno, mitigando le già gravi condizioni in cui versano gli istituti penitenziari in Italia, dove regna isolamento e solitudine. Mi auguro che il Governo prenda provvedimenti in questo senso, perché il carcere non è un mondo a sé, ma vi sono esseri umani come tutti noi.
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