l’Unità | Abdicare a favore delle armi è una sconfitta per la sinistra

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Il nuovo vicepresidente dem

Intervista a Paolo Ciani: “Abdicare a favore delle armi è una sconfitta per la sinistra”

“Che destra è quella di Meloni? È la destra che ha preso a modello l’Ungheria e a Cutro ha incolpato le vittime”.

La sua elezione a Vice presidente del gruppo parlamentare Pd alla Camera dei deputati, ha suscitato polemiche, per lo più pretestuose, Di certo, Paolo Ciani è una persona che non rientra neanche un po’ dentro vecchi schemi correntizi, fuori dai canoni classici del politico che scala posizioni per fedeltà e non per le capacità e competenze dimostrate. L’intervista concessa a l’Unità ne è la riprova.

Dalla Comunità di Sant’Egidio a Demos e ora la vice presidenza del Gruppo Pd alla Camera. Quali sono i fili politici, ideali, culturali che legano questo suo percorso?
Ho incontrato la comunità di Sant’Egidio nel 1984 quando ho iniziato il liceo e ho iniziato a farne parte. Da allora è parte della mia vita, un mix di formazione, vita vissuta, relazioni personali. I giornali, i libri, il Vangelo, e tanta amicizia negli anni, con esempi di vita encomiabili, da cui apprendere e a cui ispirarsi. E poi la vita sconosciuta: la periferia vicino casa, i campi rom, gli istituti per anziani e disabili, il carcere, i migranti, l’Africa, il dialogo interreligioso, la pace. È stata la possibilità di conoscere il mondo e le persone non soltanto attraverso le mie esperienze e la mia formazione, ma anche attraverso la vita e gli occhi di tanti. Anche di tanti periferici: scoprire realtà di cui spesso si parla, ma che pochi conoscono davvero. È un filo della mia vita, tra solidarietà concreta, accoglienza, interesse per tutto, sempre dalla parte degli ultimi. Poi, nel 2018 mi fu proposto di candidarmi in una lista civica alle elezioni regionali del Lazio.

Un passaggio importante. E poi cosa avvenne?
Dopo essere stato eletto constatai con alcuni amici il fatto che tanti non si sentivano rappresentati dai partiti in campo e così decidemmo di lavorare alla costruzione di Demos Democrazia Solidale, chiaramente con alla base gli ideali di una vita. Dapprima un movimento politico, oggi un partito che vuole raccogliere la sfida della crisi della democrazia e della rappresentanza e quella di una società che ha fatto una scelta di individualismo innaturale che sta fiaccando la socialità e la coesione. Per questo la necessità di una “democrazia solidale”, che possa lottare contro le disuguaglianze, che rimetta al centro la vita dei più esclusi, che combatta le solitudini, che sappia ripartire dalle periferie urbane e umane. In questi anni abbiamo costruito un soggetto “dal basso“, partecipando a molte elezioni amministrative in città e regioni. Con pochi mezzi economici e pochissima copertura mediatica, abbiamo eletto vari rappresentanti. Quasi sempre in coalizioni di centrosinistra, spesso con un nostro simbolo: le persone in un tempo di individualismo e sfiducia verso la politica cercano dei rappresentanti affidabili, cui “concedere” il proprio voto. Abbiamo candidato indipendenti alle elezioni europee del 2019 nella lista Pd, eleggendo Pietro Bartolo. Alle elezioni politiche dello scorso anno abbiamo fatto un accordo con il Pd ed Enrico Letta per far parte di una lista denominata Pd-Idp, Italia democratica e progressista. Non è stato un ingresso nel Pd, ma la partecipazione ad una lista comune, in una logica coalizionale.

Pace, migranti, lotta alle vecchie e nuove diseguaglianze. Quanto c’è del pensiero di Papa Francesco nel suo agire politico?
Molto, spero. Il pensiero di papa Francesco è un pensiero profondamente evangelico tradotto nel quotidiano del nostro tempo. Penso a quanto in questi anni sia stato importante il suo pensiero espresso nella “Laudato si’”: unire il grido della terra a quello dei poveri, in un tempo in cui i cambiamenti climatici sono al centro della riflessione, e della poca azione, e in cui però anche le disuguaglianze aumentano. Far comprendere come non ci sia contrapposizione tra il riscatto dei poveri e la salvezza della “casa comune” è molto importante. In questo rientra la grande preoccupazione per le guerre: pochi ricordano oggi quanto prima dell’invasione dell’Ucraina Papa Francesco parlasse di guerra mondiale a pezzi pensando alle tante guerre dimenticate nel mondo. E così il tema dei migranti, a cui sin dall’inizio del suo pontificato ha dato grande attenzione. Tema vissuto in Europa e Nord America in termini difensivi, ma che rappresenta una sfida epocale anche di relazione tra i popoli. Pensiamo anche all’ultima strage di Pylos, davanti alla Grecia. Uno dei più grandi mali del nostro tempo è quello di abituarci al dolore degli altri. In questi anni ci si è abituati al fatto che tanti possano morire di fronte alle nostre coste: bambini, donne, uomini, come se fosse normale. Ma normale non è! In questo il pensiero espresso dalla “Fratelli tutti” è un’altra parte di un manifesto traducibile anche in termini di proposta e battaglia politica. Durante la pandemia il suo “ci si salva solo insieme” sembrava un ideale condiviso da tutti. Poi è partita la corsa a ricominciare a dire “io” e non più “noi”.

Può esistere una sinistra senza una visione, un pensiero forte sui grandi, drammatici temi, che segnano il nostro tempo?
Tanti si sono allontanati dalla politica e forse anche dalla sinistra proprio per questo: è sembrato che con il tramonto delle ideologie tramontassero anche gli ideali e talvolta anche le idee. La politica non si può limitare a proporre una “corretta amministrazione”: questo è il minimo sindacale. Ma non si muovono intelligenze, cuori, energie, con una “onesta amministrazione”: servono ideali, una visione, pensieri forti sui grandi temi. Fraternità, giustizia, uguaglianza, pace. Non credo siano passati di moda, sicuramente non sono meno giusti che in passato. Riteniamo che la politica debba proporli e realizzarli, affrontando le sfide dell’oggi con questi ideali.

Il “nuovo Pd” di Elly Schlein si sta attrezzando per affrontare queste sfide?
Credo e spero di sì. Elly Schlein ha vinto delle primarie importanti provenendo dall’esterno del partito. Questo crea delle difficoltà, ma è anche una grande opportunità di rinnovamento. In questi anni il Pd ha governato in modo serio, ma spesso con compromessi che ne hanno minato l’identità. Credo che la sfida che la segretaria stia affrontando sia quella di dare un nuovo volto al partito. Demos vuole fare la sua parte in una coalizione larga che non può prescindere da un Pd forte, che però non può essere autosufficiente. Per questo trovo fuori luogo le critiche che oggi si muovono al Pd rispetto al dialogo con gli altri soggetti dell’opposizione. Guardiamo il centrodestra che è riuscito a mantenere identità e spesso posizioni distinte tra soggetti diversi ma a coalizzarsi per arrivare a governare insieme. Nel centro sinistra invece spesso si cerca visibilità e consenso nella contrapposizione o nella critica al Pd, paradossalmente anche dall’interno, piuttosto che nella proposta. Il Pd deve crescere e far parte di una coalizione con altri soggetti con la loro identità e le loro idee. Se ognuno si concentrasse su questo, invece che attaccare quotidianamente il Pd sarebbe meglio. E Demos farà la sua parte, con serietà, lealtà e determinazione.

La guerra. Si discute soltanto di invio di armi. E la politica?
La guerra è un mostro che distrugge vite umane, città, natura. E che troppi provano a normalizzare e a presentarci come compagna ineludibile della storia dell’umanità. Il dramma vissuto dall’Ucraina nell’ultimo anno e mezzo si inserisce in questo quadro: un paese aggredito da una potenza nucleare, violenza, morte, devastazione. Noi riteniamo che l’Ucraina debba difendersi e vada aiutata. Ma riteniamo che il ruolo della politica sia quello di trovare soluzioni che fermino il massacro a cominciare da un cessate il fuoco. Paradossalmente proprio l’Europa è tra coloro che meno ha cercato una soluzione negoziale: si è risposto con l’invio delle armi, ma poco si è investito nella diplomazia. Per la sinistra abdicare a favore delle armi è una sconfitta: dobbiamo trovare qualunque strada porti alla cessazione del conflitto e alla pace.

In questo scenario s’innesta l’iniziativa di papa Francesco e della Santa Sede per facilitare un dialogo tra le parti belligeranti. Quale lettura dà di questa iniziativa?
Sulla scia dei papi del ‘900 e di questo secolo, Francesco ha voluto lanciare una iniziativa di pace fin dal primo giorno successivo all’invasione russa dell’Ucraina. E lo ha fatto con un gesto desueto, dalla grande valenza simbolica: recarsi personalmente all’Ambasciata russa presso la Santa Sede per aprire un primissimo varco di colloquio. Un varco che il Papa ha provato ad allargare inviando il presidente della Cei, il cardinale Zuppi, a Kiev e, se sarà possibile come spero, anche a Mosca. Si tratta di una iniziativa molto importante che tiene in conto le preoccupazioni presenti a suo tempo nella “Pacem in Terris”, di cui quest’anno è ricorso il sessantesimo anniversario: il timore di una escalation nucleare rispetto alla guerra. Nella “Pacem in Terris” sulle armi nucleari papa Giovanni XXIII diceva: “Non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico”. Un timore che purtroppo resta vivo e attuale.

Che destra è quella che sta governando l’Italia?
È una destra che in questi anni è riuscita a tenere insieme grandi diversità: gli eredi del Msi, un partito secessionista come la prima Lega e il grande contenitore di Forza Italia. E ha scambiato i consensi da un partito all’altro, mantenendo un numero assoluto di voti più o meno costante. Dopo i governi di unità ha prevalso il partito rimasto sempre all’opposizione. Ha prevalso l’evoluzione del “prima gli italiani”, chi in questi anni ha soffiato su paure, divisioni e contrapposizioni, chi era contrario all’Europa, una destra nazionalista. Mi sembra sbagliato giustificare l’evasione fiscale o prendere l’attuale Ungheria a modello. Una destra che dinanzi alla tragedia di Cutro riesce a dire “potevano pensarci prima”, che criminalizza chi salva vite in mare, che rimette in discussione le conquiste di Basaglia sulla salute mentale, che pensa al carcere e ai detenuti con “buttiamo le chiavi” e taglia i fondi alla Polizia Penitenziaria, che parla di sostituzione etnica, che sembra voler rinunciare alle opere del Pnrr sulla sanità di prossimità e le cure a domicilio, in un Paese di anziani e piccoli centri. Mi auguro che la responsabilità di governo, faccia evolvere la destra italiana su schemi di maggior responsabilità: con alcuni colleghi di maggioranza in Parlamento un confronto sui temi è iniziato.

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